Pensavo peggio dal 27 agosto 2010 ha cambiato nome, diventando Bigiù e babà.
I cambi di nome non sono mai casuali: svelano l’esistenza di momenti di passaggio, maturazione, crescita e trasformazione.
Quando diventano troppo frequenti, fanno da spia ad un disagio di crescenza o ad una crisi d’identità, a cui si spera di poter porre rimedio con una sistemazione nominalistica.
Ma non è questo il caso.
Pensavo peggio non era certo in crisi: tutt’altro! Stava venendo su che era una bellezza.
Solo che mi sono resa conto che il titolo di questo diario non riusciva più a rappresentare lo spirito che ne aveva accompagnato l’inizio.
Il titolo non funzionava più, semplicemente perché lo spirito del diario era cambiato.
Presto svelato il segreto: il diario è nato intorno alla metà di giugno 2010, quando ho iniziato a notare, non senza stupore, alcuni cambiamenti positivi, legati ad una riduzione della percezione soggettiva di fatica nell’esercizio del lavoro quotidiano.
Non ho certo ridotto il mio carico di lavoro, tutt’altro. Ho solo cominciato ad avvertirlo come meno pesante, meno imponente e meno totalizzante. E ho cominciato a recuperare un po’ di tempo per me, da destinare non esclusivamente al semplice recupero fisico, ma da condividere con altre persone o da destinare ad attività per me molto gradite.
Dopo un lungo periodo di grande impegno e di grande fatica, ecco che piano piano la sofferenza è diminuita. Merito sicuramente della fatica stessa, che ha cominciato a dare i propri frutti, al pari di un allenamento intenso ma efficace, che costringe a resistere al dolore fisico, per poter avere muscoli tonici, in grado di sostenere in scioltezza carichi di lavoro addirittura più alti.
Quando ho scoperto che alla sera mi rimaneva un po’ di energia per guardare un film, uscire, condividere con altri uno spazio di serenità in allegria senza crollare dal sonno, mi sono davvero meravigliata. Mi sono detta: Ma è davvero possibile? E mi sono subito domandata: Durerà?
“Pensavo peggio” nasce in questo clima: un clima rasserenato, nel quale ho mosso i primi passi di chi non è più abituato da tempo a godersi una vita normale. E quindi vive il momento con tutta la sorpresa e la meraviglia del caso, coltivando in segreto la paura che questa nuova normalità, così straordinaria, non possa durare.
Un titolo del genere aveva anche un chiaro intento auto-ironico: l’auto-ironia è una dimensione fondamentale dell’esistenza, che arricchisce la capacità di guardare a se stessi, offrendoci l’importante dimensione della leggerezza.
Mai prendersi troppo sul serio.
Era questo il tono che avevo usato anche nella presentazione originaria del diario: ci sono dei giorni in cui vorremmo strozzare qualcuno, dicevo, però ci sono anche altri giorni in cui ci scopriamo a trovare un piccolo motivo di serenità, di divertimento, di piacere.
“Pensavo peggio” era come dire: “Niente male”, con un’aria divertita e anche stupita.
A distanza di due mesi, quello stupore, quella paura che tutto finisca non c’è più. Non finirà. Il pensiero del peggio che potrebbe sempre arrivare si è dissolto. Quel peggio è in un luogo lontanissimo, ormai su un altro pianeta.
Ecco allora il bisogno di cancellare l’elemento negativo presente nel vecchio titolo, per scegliere una “etichetta” tutta positiva, che conservasse però la originaria cifra auto-ironica.
“Bigiù e babà” mi è sembrata perfetta. Le cose raccontate in questo diario sono tutti piccoli eventi gradevoli: piccoli babà da mangiare, piccoli gioielli che hanno addobbato per un momento la mia vita. Niente di prezioso, di raro o di pretenzioso. D’altronde era già stato scoperto da importanti guru che la felicità è un bicchiere di vino con un panino.

That’s why.