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Bangladesh

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2 Luglio 2016

La strage di Dacca ci ha colpiti tutti come un fulmine in un cielo tutt'altro che sereno. Il terrorismo di matrice islamica colpisce regolarmente le nostre città, nel tentativo di imporre valori lontani e difficilmente assimilabili alle nostre tradizioni e ai nostri obiettivi di vita. Difficile pensare lucidamente in questi frangenti; tremendo il compito dei governi occidentali nel mettere a punto una strategia di risposta adeguata.

Io non mi sono mai occupata di politica ad alto livello: mi rendo conto che le questioni in ballo sono di una complessità superiore alla mia capacità di comprensione e conoscenza, e quindi tendo a rimanere in silenzio, da una parte, senza nemmeno riuscire a prendere una posizione precisa, senza fare mia quella che ritengo essere la lettura più corretta e aderente al vero di ciò che è successo.

Seguo qualche dibattito in TV, tra lo sconcerto per ciò che sento dire e il dolore per la morte di tante persone innocenti, che stavano tranquillamente cenando in un ristorante di Dacca. Potevo esserci io, ad uno di quei tavoli, o chiunque dei miei amici. Poteva esserci chiunque, e quel chiunque oggi è stato letteralmente sgozzato perché non sapeva recitare i versi delil r Corano.

Ascolto con attenzione Magdi Cristiano Allam, giornalista egiziano di origine musulmana e convertito al cristianesimo, che fa un ragionamento piuttosto chiaro (a ognuno di noi, poi, condividerlo o meno): basta con il ragionamento secondo il quale i terroristi sarebbero schegge impazzite, criminali comuni che nulla hanno a che fare con l'Islam vero, che è una religione di pace e di amore. I territoristi portano alle estreme conseguenze le parole del Corano e rappresentano la parte più integralista e perciò più profonda e veritiera dell'Islam. Così si è espresso, anche nei giorni successivi all'attentato nel suo blog .

Non provo grande simpatia per lui: il cosiddetto "Pinocchio d'Egitto": ha cambiato troppe bandiere nella sua vita, troppi partiti, troppe posizioni per poter essere considerato portatore di un pensiero riflettuto e ragionato. Ma non si sa mai dove si può trovare una buona idea, come ci ha insegnato Melanie Griffith in Una donna in carriera, ecco che ascolto pure Pinocchio, e rifletto.

Nel riflettere su questo approccio molto seguito, prevalentemente a sinistra, mi ritrovo a pensare ad un ragionamento che nella stessa area politica facevamo più o meno trent'anni fa (anche di più) riguardo alle esperienze politiche e sociali dei cosiddetti "Paesi socialisti". Le realtà negative dell'Unione Sovietica (dai gulag alle inefficienze nell'economia) erano giudicate "deviazioni" dall'applicazione corretta del modello socialista, che invece era di per sé buono e positivo. Anche quando tutte le applicazioni mostravano il fianco alle più facili delle critiche, noi correvamo subito a invocare questa distinzione, tra la teoria e la pratica. 

E qui, se non altro per sdrammatizzare un po', chiamo in causa il mio guru personale, il giocatore di baseball Yogi Berra, il quale sosteneva una frase per me molto illuminante: "In teoria non c'è differenza tra la teoria e la pratica, ma in pratica c'è". 

Per dire che forse la vecchia storia di un comunismo buono e progressista, che però non è mai stato realizzato, perché hanno prevalso le deviazioni, fa un po' il paio con la nuova storia di un Islam buono e progressista, che però fa prevalere oggi come oggi solo le deviazioni più sanguinarie. Che ci azzecca il comunismo coll'Islam? Niente, ovviamente. Sto solo facendo riferimento ad un medesimo meccanismo interpretativo (retorico nel senso di Perelman!) che comincia davvero a non funzionare più, perché non permette di interpretare correttamente la realtà. 

Certo, non ci siamo dimenticati di quante brave persone portavano l'Unità la domenica mattina nelle case, così come oggi non ci dimentichiamo di quanti bravi islamici nei nostri paesi o a casa loro non riducono le donne in schiavitù ma vivono una vita rispettosa dei valori altrui. Ma tutte queste brave persone, che nulla hanno a che fare con le deviazioni di cui sopra, forse – dico forse, mica lo so – non rappresentano la parte sana della storia, ma paradossalmente quella che non aiuta a vedere le cose per bene, e a chiamarle col loro nome. 

 

 

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