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Google e la reputazione

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10 Agosto 2014

Il concetto di "reputazione" non è facile da definire con esattezza: in esso vanno a consolidarsi tutti i giudizi e i pregiudizi che in un certo ambiente le persone si sono fatte nei confronti di un individuo, di una istituzione o di una azienda, a partire dalla esperienza concreta maturata nel rapporto con quel soggetto, ma anche a prescindere da essa. La forza degli stereotipi si manifesta appieno quando prescindiamo dalla conoscenza diretta di un soggetto, ritenendoci comunque liberi di "sapere già tutto" sul suo conto: se è un dipendente pubblico sarà un fanullone, se è un'azienda tedesca sarà bene organizzata, e così via – di luogo comune in luogo comune.

Per semplificare, si potrebbe dire che la reputazione ha una componente "individuale" (che nasce dalla stima guadagnata o perduta nelle effettive relazioni con i diversi interlocutori) e una componente "ereditata" (che si fonda sulla stima assegnata alla categoria a cui la persona o l'organizzazione appartiene); sia nel primo caso, sia ancor più nel secondo vale la considerazione che la reputazione sia un fenomeno non completamente sotto il controllo dell'individuo, il quale – per quanto si adoperi nel guadagnare stima e considerazione altrui – deve appunto fare i conti con la durabilità dei giudizi consolidati e con la ritrosia delle persone a cambiare il segno della loro prima impressione.

Per costruirsi e mantenere una buona reputazione ci vuole una vita intera all'insegna dell'integrità e della serietà. Per vedersi distruggere la reputazione, basta un attimo: una notizia ingiuriosa – magari priva di fondameno – pubblicata sulla stampa, una fotografia scabrosa scattata da un paparazzo in cerca di scoop. L'altalena che conduce dalle stelle alle stalle rappresenta l'incubo delle celebrità, che spesso non riescono a sopportare la tensione derivante dal vivere una vita perennemente sotto le luci della ribalta.

Per quanto non interamente sotto il nostro controllo, la reputazione rappresenta per ciascuno di noi un vero e proprio "capitale sociale", da spendere nelle relazioni interpersonali, nei rapporti di lavoro, nella carriera. Proprio in tal senso, siamo chiamati a tenerla sotto controllo, sottoponendola ad un vero e proprio lavoro di misurazione, monitoraggio e cura.

Il libro di Ale Agostini e Antonio de Nardis, uscito nel 2013 nella collana "Web & Marketing 2.0", si occupa di quel segmento di reputazione che oggi transita attraverso la Rete: oltre che nella vita reale, oggi noi viviamo una esistenza anche virtuale, lasciando continuamente traccia della nostra presenza. Abitiamo i social network, lasciamo commenti sui blog che seguiamo più da vicino, esprimiamo il nostro punto di vista sui forum, magari abbiamo un nostro sito web dove parliamo di noi, della nostra vita o dell'azienda per la quale lavoriamo.

Tutte queste tracce di vita digitale alimentano la nostra reputazione. E – che ci piaccia o no – chi non ci conosce personalmente ma deve decidere se lavorare con noi, affidarci un incarico, o addirittura assumerci per un lavoro importante, sempre più spesso sostiene la propria scelta con una ricerca in rete, a partire dalla quale si fa un'idea di chi siamo: sarà sempre dell'idea di affidarci il lavoro, se scoprirà dalle fotografie che pubblichiamo la nostra abitudine ad ubriacarci con gli amici tutti i week-end? Sarà ben disposto nei nostri confronti, se leggerà un vecchio articolo di giornale in cui si segnalava che in gioventù eravamo stati sorpresi a rubare in un negozio?  Gli piaceranno i nostri post su facebook nei quali le regole della punteggiatura e della grammatica risultano violentate sistematicamente?

Il libro si propone di insegnarci ad evitare durante la nostra permanenza in rete gli errori più grossolani in grado di danneggiare la nostra immagine personale e professionale, offrendoci alcuni strumenti utili per gestire in modo oculato la privacy sui social media e permettendoci di acquisire maggiore consapevolezza sul carattere "pubblico" ed "eterno" delle nostre esternazioni digitali. Molto interessanti i capitoli dedicati agli strumenti di misurazione e monitoraggio della nostra presenza on line, così come i consigli pratici sulla corretta gestione delle "crisi on line", che – al pari delle crisi nel mondo reale – possono distruggere definitivamente la nostra affidabilità o allontanarci per sempre dal sogno di un avanzamento di carriera.

Una lettura sicuramente utile per chi ingenuamente pensa che ciò che si pubblica on line sia nient'altro che l'effetto di un passatempo innocuo, al quale dedicarsi senza preoccupazioni, al pari di un gioco divertente e privo di conseguenze potenzialmente negative: ciò che costruiamo on line non è affatto un gioco innocente, ma è un pezzo di vita vera, di cui siamo responsabili fino in fondo. Una volta compreso tutto questo, è bene smettere di giocare, e cominciare a fare sul serio.   

 

 

 

 

 

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MariaStella
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