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Guida rapida agli addii

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2 Dicembre 2012

Mi sono innamorata di Anne Tyler tanti anni fa, leggendo (e rileggendo più volte) quello che a mio avviso è il suo romanzo più riuscito: Lezioni di respiro, una storia "minimalista" mirabilmente costruita attorno al viaggio in auto di una coppia attempata, Maggie e Ira Moran, per partecipare al funerale del marito della migliore amica di lei. Attorno al doloroso contrasto tra la quotidianità prosaica della convivenza coniugale e la dolorosa estraneità di cuore e anima, la Tyler tesseva un romanzo ricco di flashback, chiamando i due personaggi a fare i conti con se stessi e col proprio rapporto. Quando poi avevo visto la riduzione televisiva, splendidamente interpretata da Joanne Woodward e James Garner, non avevo che amplificato il mio attaccamento a questo romanzo: uno dei libri che sarei disposta a salvare dall'incendio universale di tutte le opere letterarie.

Così, quando ho visto sullo scaffale delle novità in San Giorgio, rientrato da una prima sessione di prestiti, il nuovo romanzo Guida rapida agli addii, il braccio ha anticipato l'ordine del cervello, per accaparrarsi subito un titolo destinato ad uscire di nuovo in prestito e a rientrare chissà quando. E così ho approfittato della prima, vera domenica di pace nella nuova casa, con i mobili finalmente al loro posto e una quantità di scatole ancora da aprire inferiore alle dita delle mani, per trascorrere una lunga mattinata di dolce far niente, al calduccio sotto il piumone, per dare fondo a questa lettura.

La storia è sempre "in sedicesimo": il protagonista è Aaron, un uomo sotto i quaranta,  che rimane vedovo a causa di un grave incidente (il vecchio albero del giardino crolla sulla veranda, uccidendo nel crollo la moglie di lui). Sull'uomo si appuntano le cure maternali di tutte le vicine di casa (che lo riempiono di cibo buonissimo, che lui regolarmente butta via, non prima però di avere inviato un biglietto di ringraziamento), delle colleghe d'ufficio, della sorella zitella, che finirà con l'accoglierlo nella vecchia casa di famiglia, mentre un'impresa si occupa di ricostruire ciò che è crollato della casa coniugale.

L'uomo preferisce rifugiarsi nella solitudine che accogliere i tanti segnali di aiuto di coloro che gli ruotano intorno, e che addirittura cercano di trovargli una nuova moglie; ma il rifugio più ambito è quello in una sorta di "allucinazioni", che lo porteranno a vedere accanto a sé, nei momenti più impensabili, la moglie scomparsa, una dottoressa massiccia e assertiva, dal carattere coriaceo e dall'aspetto poco femminile: momenti magici e privati, nei quali Aaron potrà "rileggere" il proprio matrimonio sotto una nuova luce.

Molto ben delineati i personaggi minori della storia: la sorella Nandina, che poi si sposerà con il capomastro addetto alla ricostruzione della casa del fratello, i colleghi dell'ufficio, ed in particolare Peggy, la segretaria destinata a diventare la sua seconda moglie nel finale della storia.

Interessante anche la scelta, volutamente "minore", della professione di Aaron, che ha ereditato l'impresa editoriale di famiglia, che stampa vanity books, i famosi "libri a pagamento" di semplici cittadini desiderosi di diventare, sia pure solo formalmente, autori di libri veri, e che però ha fatto una piccola fortuna con le "guide rapide", piccoli librettini ricchi di consigli pratici su come affrontare qualsiasi cosa nella vita: dal matrimonio alla nascita di un figlio, dal trasloco alla morte. Quelle "guide rapide" che molto ci dicono in merito al fatto che la vita o debba essere accettata nella sua incomprensibilità, o possa essere affrontata solo attraverso piccole pillole di saggezza, capaci solo di risolvere uno specifico problema, ma non dare certo le risposte alle domande importanti. Mi piace pensare che ci sia un richiamo non casuale tra queste "guide rapide" e la collana di guide turistiche del "turista per caso" portato al successo sul grande schermo, ormai tanti anni fa, da Kasdan.

Recensione di Silvia Albertazzi su Club Dante

Recensione di Elisabetta Bolondi su Solilibri

Articolo di Fabio Cavalera sul Corriere della sera

 

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