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Durezze del rientro

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15 Gennaio 2018

Le ferie lunghe (due settimane!) sono una manna dal cielo, specie quando vengono calendarizzate al termine di un periodo molto intenso di attività, come è stato per me il 2017. Gli impegni per Pistoia capitale sono stati così stringenti da fagogitare il grosso delle mie energie e da lasciarmi pochissimo margine per la vita personale e per altri progetti professionali. Ovvio, dunque, avere gustato fino all’ultima goccia un lungo momento di pausa, durante il quale ho perlopiù messo in pausa il cervello, per dedicarmi a occupazioni a risparmio energetico, come riordinare la bigiotteria negli appositi contenitori, fare shopping, andare al mare, passare tre ore di fila ad accarezzare Ginger e Pallina. Ma arriva il momento di rientrare: il momento nel quale si deve pagare il conto per il riposo accumulato. Le attività sono andate tutte avanti: l’autonomia dei singoli colleghi, assieme ad un sistema di deleghe definito prima della partenza, ha evitato che qualcuno soffrisse della mia assenza. Ma è chiaro che a qualcosa servo, e dunque la roba sul tavolo da smaltire è risultata parecchia, così come la posta elettronica in attesa di risposta.

La sensazione lungo tutta la giornata di oggi è stata quella di svuotare il mare con un ditale: ogni risposta che invio genera una nuova mail di conferma o modifica rispetto alle proposte che ho scritto; ogni contatto scatena nuove richieste. L’ideale di una casella di posta in arrivo vuota è lontano dalla mia prospettiva come la vittoria del titolo di Miss Italia o del Nobel per la Chimica. L’esperienza di tanti anni di rapporto con il pubblico mi ha reso consapevole della differenza di peso che i cittadini attribuiscono alle proprie richieste di contatto rispetto a quella che posso attribuire io nella gestione quotidiana di decine, a volte anche centinaia di contatti: per la persona che scrive o che chiede un appuntamento, quel momento merita di essere dilatato e prolungato al massimo, in modo tale da avere tutta la soddisfazione ritenuta congrua rispetto al contatto stesso. Sul mio lato, invece, l’urgenza di far fronte agli effetti pratici delle singole richieste a volte può avere l’effetto di percepire certi incontri come eccessivamente lunghi rispetto all’essenzialità delle cose da decidere: perché ogni tempo trascorso in una riunione è tempo evidentemente sottratto ad una operatività che non posso delegare a nessun altro, ma che finisce col ricercare una allocazione di tempo fuori dal mio tempo di lavoro, dilatandolo potenzialmente all’infinito, come è avvenuto nel 2017 (che ne dite di 800 ore di lavoro eccedente le 36 ore settimanali, oltre tutto non specificamente retribuite?).

In effetti, devo ammettere che le persone che ricercano un contatto con me in qualche caso hanno una percezione imprecisa delle reali condizioni nelle quali si dovrebbe svolgere il mio lavoro, immaginando di poter passare liberamente dalla biblioteca e incontrarmi per sottopormi un loro progetto o una loro esigenza senza prima avere preso un appuntamento, immaginando di potermi contattare per motivi di lavoro tramite la mia pagina personale di Facebook, utilizzando il numero privato di cellulare anche nei giorni festivi, oppure anche (ed è la situazione più difficile per me) mescolando i diversi mezzi: ad esempio, chiedendo se è libero l’auditorium il giorno tal dei tali su Messanger, poi cambiando la data su whatsapp e inviando la richiesta con una data ancora diversa per posta elettronica (magari quella personale, e non quella istituzionale). Forse dietro questo modus operandi, particolarmente frequente, c’è l’idea che io debba essere sempre disponibile 24 ore su 24, magari anche durante le ferie? Certo è che la Pubblica Amministrazione, anche quella più efficiente e funzionale, non ha abituato i cittadini a questo tipo di rapporto, così unilaterale. Fatto sta che sono in molti a risentirsi con me per non avere risposto subito alle mail inviate: un risentimento che è – prima di tutto – un attestato di stima: giacché non ci si risente nei confronti delle persone dalle quali non ci si aspetta nulla di buono.

Ammetto di essere contenta di essere rientrata al lavoro: è sempre bello gettarsi di nuovo nella mischia, partecipare a nuove avventure, contribuire attivamente alla vita della propria città. Dunque, buon rientro a me. Il da fare non mancherà di certo.

 

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MariaStella
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Ho la fortuna di fare un lavoro che è prima di tutto una grande passione: questo mi permette di vivere una vita “intera”, tra casa e biblioteca, di cui ho piacere di condividere gli aspetti più belli su questo sito-blog. Buona lettura!

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