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La mia gru

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18 Novembre 2020

Era il 1° agosto del 2008 quando ho cominciato a lavorare per il Comune di Pistoia, come dirigente delle biblioteche e dei servizi culturali. Nella mia vita professionale non avevo mai avuto un ufficio così bello (ma a pensarci bene, anche quello di Empoli era stato bellissimo, in effetti, con tanto di sala riunioni incorporata): ero felice come non mai, piena di aspettative e di speranze. La San Giorgio era nuova di pacca, tutta lucida e perfetta, e tutt’intorno fervevano i lavori per la riqualificazione urbana del quartiere ex Breda, abbandonato a se stesso dopo la deindustrializzazione e dopo trent’anni rinato a nuova vita.

Accanto alla San Giorgio, gli scavi per il sottopasso (quello che sarebbe stato ribattezzato “Quinta porta”), la costruzione dell’albergo, i lavori per il parcheggio sotterraneo, per non parlare del polo sicurezza: Questura, Prefettura, Polizia Stradale, tutte insieme in un grosso edificio a due passi dalla stazione.

Dal mio ufficio potevo seguire il brulicare di operai e camion dello scavo terra, ognuno in movimento verso la propria destinazione: ogni giorno un pezzettino nuovo che andava al suo posto. E proprio davanti alla mia finestra una enorme gru, sempre in movimento nel trasferire da un lato all’altro del cantiere blocchi di cemento armato da destinare alle diverse costruzioni. Sembrava di essere a Berlino dopo la caduta del muro: oltre alla “mia gru”, ce n’erano molte altre in attività, alcune più piccole, altre più grandi.

La sensazione era appunto quella che si è respirata per alcuni anni a Berlino, ovviamente in dimensione minore: la sensazione di poter toccare con mano la capacità di una città di ricostruirsi, di rigenerarsi. E così siamo andati avanti per alcuni anni: noi in biblioteca con i nostri progetti per cambiare il mondo, loro, gli operai, con i loro camion e i loro attrezzi per far rinascere a nuova vita un pezzo di città. La Quinta Porta è stata inaugurata, così come è stato tagliato il nastro al Polo della Sicurezza. Poi tutto si è fermato, quasi all’improvviso.

L’ultimo braccio della Quinta Porta, che dal sottopasso doveva risalire su via Pacinotti, è rimasto mozzato, l’albergo è rimasto chiuso e silenzioso, e gli operai sono spariti. Di lì a poco lo spazio tra la San Giorgio e l’Istituto Einaudi si sarebbe riempito di terra inerte di riporto, e la terra avrebbe cominciato a fare il suo lavoro. Erba, alberi, animaletti. Milioni di rane negli acquitrini sopra i parcheggi abbandonati, qualche topo grande come Ginger e Pallina, e un po’ troppo pieno di sé. Qualche gattino preso subito in cura dalla Protezione Animali.

La speranza ha lasciato il posto ad un sentimento di abbandono: la ditta incaricata dei lavori è fallita, e altri imprenditori pronti a proseguire i lavori non si sono trovati. Sono anni di crisi nel settore dell’edilizia, la liquidità non scorre certo a fiumi. Tutto fermo, dunque: anche la mia gru, simbolo incolpevole di una sconfitta per una città altrettanto incolpevole.

I nostri progetti sono andati avanti: abbiamo continuato a cambiare il mondo. Ma la gru è rimasta ferma. L’ho immaginata come parte stabile del mio panorama, e mi sono detta che, se un giorno fosse stata smontata, l’avrei disegnata sulle vetrate delle finestre, in ricordo di una prossimità che non è mai potuta diventare amicizia (come fa un pezzo di ferro a fare amicizia con un essere umano?), ma che è stata sicuramente vicinanza: quante volte, soffermandomi a guardare la mia gru, sono riuscita a far fronte ad un problema, a trovare un attimo di pace in una giornata storta, a dare fondo alle energie residue in un momento in cui sembrava andare tutto male.

Sono passati dodici anni da quando ho messo piede per la prima volta in quell’ufficio: la San Giorgio si è consumata, io sono invecchiata, la mia gru è sempre rimasta di guardia ai nostri destini. Abbiamo fatto tantissime cose insieme, io, la San Giorgio e la gru. E siamo felici di esserci consumate e di essere invecchiate insieme.

E poi arriva domenica scorsa: la gru viene smontata pezzo a pezzo. Andrà a lavorare da un’altra parte. Siamo rimaste da sole, io e la San Giorgio, senza la nostra compagna di vita. Ma siamo felici per lei: andrà a rendersi utile in un altro cantiere, aiuterà a costruire nuove speranze, creerà nuova ricchezza. Il cantiere davanti alla mia finestra è rimasto vuoto e silenzioso: per ora tutto dorme. Gli alberi, l’erba, le rane e i topolini continuano la loro vita indisturbati.

Appena ho un attimo, scrivo la certificazione giusta e vado in cartoleria: ho bisogno di comprare dei pennarelli. Devo disegnare la mia gru sul vetro.

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MariaStella
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